Seneca e il dilemma vita/morte

Seneca, filosofo che segue appunto la filosofia stoica, afferma che bisogna mostrare le proprie virtù sia durante la vita, sia di fronte alla morte.
Il sapiente quindi sarà, così, pronto a qualsiasi evenienza, anche alla più estrema, ovvero la morte.
 

Seneca in un suo scritto, fa presente al suo amico Lucilio che il modo in cui moriamo dimostra in realtà chi siamo.
Il filosofo afferma che il modo migliore per sconfiggere la morte, è quello di prenderla realmente per ciò che è: ovvero l’assenza di percezione della vita.

Nella sua tragedia intitolata “Le TroianeSeneca afferma: “la morte è qualcosa di indivisibile: un malanno del corpo che non risparmia lo spirito”.
Secondo Seneca, nell’imminenza della morte, allorché ogni possibilità di evitarla è dileguata, nell'uomo scatta una reazione psicologica per cui anche chi per natura è ignorante e debole trova un moto di coraggio e di orgoglio.

Il suicidio per la filosofia stoica è una cosa non giusta: infatti le basi di questa filosofia presuppongono che l’uomo si affacci alla vita accettando i fatti così come vengono e non interferendo con gli eventi.
Questa è una grande incoerenza se pensiamo che Seneca stesso si è suicidato.

In realtà il filosofo afferma che l’uomo saggio è tale finché riesce a resistere all'esistenza senza perdere la propria ragione; se invece dovesse essere minacciato dal rischio di perdere il controllo e di impazzire (e quindi di perdere la sua virtù), ha la possibilità di sottrarsi da solo alla perdita, per salvare la sua razionalità.
Ecco in questo caso il suicidio sarebbe giustificato e potrebbe essere contemplato.

Il suicidio è quindi un’azione fatta per non perdere le proprie virtù: proprio per questo solo il saggio sa quando e se deve sottrarsi alla vita, utilizzando il metodo del suicidio.
Seneca inoltre afferma che, chi obbliga qualcuno ad uccidersi è tanto colpevole quanto chi ostacola il suicidio di qualcuno; poiché impedire a qualcuno di morire è come ucciderlo.