Il rosso come colore del lutto

A contrario dell’usanza odierna, che associa al periodo di cordoglio il colore nero, in passato, il colore di rappresentanza per il lutto era tuttavia il rosso.

Da dove arriva l’usanza del rosso come colore del lutto?

Il rosso è stato il primo dei colori ad essere associato ed utilizzato per rappresentare la morte. Questa usanza trova la sua nascita nell’antichità, più precisamente nella preistoria, quando gli uomini erano soliti dipingere le spoglie e le tombe dei propri defunti con il colore rosso.

Nel tempo, l’utilizzo di questo colore si è tramandato e ha trovato spazio nella cultura delle principali popolazioni antiche. Gli antichi Romani, ad esempio, vestivano gli stessi defunti con indumenti di colore rosso, mentre gli Egizi avevano come pratica quella di ricoprire i sarcofagi con teli rossi ed indossare abiti del medesimo colore.

In Germania, invece, alcuni studiosi hanno riportato di aver trovato, in documenti antichissimi, diversi proverbi in relazione alla morte dove questo colore veniva spesso menzionato.

Il significato del colore rosso in passato.

Per i nostri antenati questo colore simboleggiava le forze vitali primordiali, essendo strettamente correlato sia al fuoco che al sangue. Sempre in relazione a quest’ultimo, miti antichi ne collegano la simbologia all’origine della vita stessa.

Il rosso dunque è il primo colore a simboleggiare questa dicotomia tra vita e morte. Naturalmente, ogni genere di attribuzione di significato, ai colori, è strettamente correlata a contesti culturali e momenti storici. In relazione alle pratiche menzionate nel precedente paragrafo, si suppone che l’intenzione era proprio quella di trasmettere al defunto, o in qualche modo mantenere, attraverso il colore, l’energia vitale di cui si era privato il corpo al momento del trapasso.

I colori del lutto al giorno d’oggi

Ancora oggi, in alcuni paesi dell’Africa, il rosso è rimasto il colore del lutto; mentre in occidente l’utilizzo ne è limitato alla sola celebrazione funeraria di un Papa.

Come ormai noto, invece, nella cultura orientale il colore predominante per un funerale è il bianco, in quanto ricorda pallore del defunto. Vestirsi di bianco ad un funerale è un’usanza ben radicata e proprio per questa correlazione con il colorito della pelle è un colore vietato durante le feste ed occasioni gioiose.

In Italia e in Europa il colore per antonomasia associato alla morte è il nero, tramandato nella nostra cultura dal momento dell’avvento del Cristianesimo. Ad oggi, le tradizioni tramandate, ed ancora in utilizzo, riguardano l’uso di abiti scuri e l’accuratezza nell’evitare colori sgargianti e capi d’abbigliamento appariscenti, in segno di rispetto non solo al defunto ma anche ai familiari.

Cremazione e ceneri in casa, ecco come fare

Cremazione e ceneri in casa, ecco il vademecum

Quella della tumulazione della salma è, ancora oggi, la scelta post-mortem preferita dagli italiani. Ciò nonostante, la cremazione (ovvero la volontà di ridurre in cenere i propri resti corporei), anche nel nostro Paese, è in costante aumento.

È possibile conservare le ceneri dei propri cari in casa?

Sì, la legge (l. 130/2001) ammette che, dopo la cremazione le ceneri restino in casa. In questo modo si aggiorna la precedente normativa (l’art. 340 del r.d. 1265/1934). L’aleatorietà di alcuni aspetti della nuova legge è stata tuttavia sanata solo con la pronuncia del Consiglio di Stato del 2003 (il parere 2957/3 del 29 ottobre 2003), che ha, di fatto, ratificato la possibilità che le ceneri possano essere affidate alla famiglia del defunto. Tuttavia, benché la legge consenta di custodire a casa le ceneri dei propri cari, occorre rispettare in maniera rigorosa alcune norme.

Cosa dice la legge?

L'affidamento delle proprie ceneri (ossia l'indicazione del "custode" dell'urna), al pari della volontà di essere cremati, deve essere formulato per iscritto. 

Dunque 1) all’interno di una disposizione testamentaria, 2) espressa in maniera verbale ai parenti più prossimi (in assenza del coniuge), 3) in presenza di un'iscrizione del defunto ad associazioni riconosciute che abbiano tra i propri fini statutari quello della cremazione dei cadaveri dei propri associati. In ogni caso, l'affidamento delle ceneri dev'essere sempre autorizzato dall'ufficiale dello Stato civile del Comune di decesso.

Identificazione del defunto: è obbligatoria la targa?

Sì, è sempre obbligatorio garantire l’identificazione del defunto. Pertanto, sull'urna dovrà essere apposta una targa ben riconoscibile con nome, cognome, data di nascita e del decesso.

Quali caratteristiche deve avere l'urna cineraria? 

I requisiti sono indicati dai singoli comuni, ma dev'essere composta da un materiale resistente ed infrangibile. Tuttavia, non è prescritto uno spessore minimo del materiale di realizzazione (normalmente metalli zincati, ma anche legni). L’urna è divisa in due parti: quella interna di zinco o plastica che contiene le ceneri; e la parte esterna solitamente costituita da materiali pregiati, come marmi, legni, argenti e ceramiche.

Come va custodita l’urna cineraria?

Avere cura dellʼurna è un dovere giuridico, anche perché la manomissione dei sigilli o la dispersione del contenuto, senza alcuna autorizzazione, può comportare gravi responsabilità penali (il codice infatti punisce la sottrazione e la distruzione del cadavere, anche se cremato, con la reclusione da due mesi a un anno e con la multa da 2.582 a 12.911 euro). Per questo, al momento della consegna, viene redatto un verbale che identifica l'affidatario, ovvero colui che si assume la responsabilità giuridica della custodia dell'urna.

Chi controlla?

La corretta collocazione dellʼurna è sottoposta a controlli da parte della Polizia Municipale (https://www.poliziamunicipale.it/) e ispezioni da parte di personale del comune.

Dove collocare l'urna?

Lʼurna deve essere conservata in luogo sicuro e stabile, lontano da possibili aperture o rotture casuali e accidentali o profanazioni. Una volta affidata, l’urna non può essere spostata a proprio piacimento, ad esempio portandola con sé in una diversa abitazione. Anche in questo caso occorrerà una specifica autorizzazione.

E se l'affidatario cambia idea?

L’affidatario dellʼurna può decidere di rinunciare alla conservazione della stessa con una dichiarazione sottoscritta all’Ufficiale dello Stato Civile, restituendo così lʼautorizzazione ricevuta e impegnandosi a collocare l’urna in cimitero pagandone le dovute spese.

Il significato delle composizioni floreali nei riti funebri

Sin dall’antico Egitto, ma anche prima, nelle tribù del Neolitico (oltre 12 mila anni fa), esisteva la tradizione culturale/religiosa di donare fiori ad un defunto.

I fiori, infatti, rappresentano l’immortalità dell’anima ed un ciclo infinito; per questo è davvero importante accompagnare un caro defunto nel suo ultimo viaggio, con queste ritualità.

 

Nelle diverse culture e religioni del mondo cambiano spesso i fiori e i colori (ad esempio in estremo Oriente il colore del lutto è il bianco), ma il gesto in sé rimane sempre dello stesso significato: il dover accompagnare il defunto con corone floreali, rami intrecciati e composizioni di vario genere, resta sempre e comunque una tradizione che accomuna la maggior parte delle culture.

 

Non è sempre facile in questi momenti delicati, sapere quali sono i fiori giusti da regalare, ma ci sono alcuni accorgimenti fondamentali da seguire. Innanzitutto, la composizione floreale non va consegnata direttamente ai parenti del defunto, bensì va fatta recapitare a domicilio prima del giorno del funerale.

È bene tenere a mente il significato dei vari colori: il bianco rappresenta la stima e la pace, mentre il blu, per esempio, richiama conforto e calma.
Ma è anche vero che se si conoscevano in vita i gusti del defunto, possono essere presi in considerazione ed utilizzati per la scelta dei colori.

 

Se il rapporto con il defunto era formale, si consiglia sempre di far recapitare composizioni di piantine raccolte in una cesta; mentre per i casi di conoscenza lieve, ma comunque affettuosa, sono sempre indicati calle bianche e rose bianche.

Se invece si nutriva un rapporto molto stretto con il defunto, è buona educazione creare composizioni floreali che riescano ad esprimere al massimo la sua personalità, gli interessi e le passioni. Questo genere di composizione si chiamano tributi. Il tributo può essere a forma di un libro se il defunto era un’insegnante, per esempio, o può contenere una citazione particolare, se era un fan di un determinato personaggio. 

 

Ma una cosa è certa, che siano rose, crisantemi, calle o qualsiasi altro gente di fiore, il gesto in sé sarà sicuramente molto apprezzato e regalerà una nota positiva in un momento così spiacevole.

 

Per tutte le info e per maggiori dettagli, potete rivolgervi a noi di Gori Onoranze Funebri che dal 1960 operiamo in questo settore.

FUOCHI FATUI: COSA SONO?

I fuochi fatui sono un fenomeno famoso in tutto il mondo per il misterioso e suggestivo folklore che li circonda. Potrebbe capitare a chiunque di passare accanto ad un cimitero – in piena notte – oppure nei pressi di una palude o di uno stagno, e vedere delle luci spettrali muoversi in modo bizzarro sulla strada; i fuochi fatui si manifestano di solito sotto forma di fiammelle di colore blu sopraelevate dal terreno, le quali avrebbero – secondo i racconti e le leggende – terrorizzato migliaia di viaggiatori avventuratisi nella notte. Di certo, a prima vista sembra la descrizione di un evento paranormale inspiegabile e a tratti terrificante, impossibile da comprendere razionalmente.

Per questo motivo, la scienza si è a lungo interrogata sull'origine di questo fenomeno, ancora avvolto nell'ombra e nel mistero più totale. Carica di profonda e ammaliante tradizione folkloristica, la visione di fuochi fatui è stata spiegata attraverso la combustione di elementi chimici come il metano e la fosfina che, in giornate particolarmente calde, s'incendiano a contatto con l'ossigeno e danno luogo ad una fiammata sul livello terreno dal brillante colore blu. I due elementi chimici vengono liberati da corpi organici – di animali e piante – morti da breve tempo, e provocano il fenomeno in questione a seguito di una decomposizione anaerobica del carbonio. In tal senso, qualora la bara di una tomba non fosse sigillata perfettamente, consentirebbe ai due gas di fuoriuscire durante la fase di decomposizione del cadavere e incendiarsi a contatto con l'ossigeno. 

Nonostante questa prima spiegazione, la scienza continua a interrogarsi sull'effettivo funzionamento di un evento tanto particolare, il quale rimane nell'immaginario collettivo ben lontano dall'essere razionalizzato e compreso. Dopotutto, in presenza di un fenomeno che per secoli è stato considerato come portatore di malaugurio e sventura, un processo di comprensione tecnico-scientifica fa difficoltà a prendere popolarità nel cuore delle persone.

In Europa, i fuochi fatui vengono associati allo spirito dei defunti o alla presenza di altri esseri soprannaturali che attestano la loro presenza di fronte agli sventurati viaggiatori. Durante l'epoca medievale si riteneva che le luci fossero gli spiriti dei bambini morti prematuramente e non battezzati, i quali vagassero in cerca di una sistemazione in cui riposare, lontani dal limbo.

Alcune tradizioni slave e gaeliche attribuiscono i fuochi fatui a persone morte per cause sconosciute o poco chiare; in Asia e in particolar modo in Giappone essi vengono chiamati Hitodama (sfera umana) e sono segno di sventura per l'avventato viaggiatore notturno. Nelle foreste nipponiche questi spiriti onibi traggono in inganno i presenti, trascinandoli nel cuore di foreste impossibili da attraversare. 

Le leggende si spostano in territorio anglosassone, in cui i fuochi fatui vengono attribuiti alla sfortunata morte di due personaggi molto particolari (che danno anche il nome britannico al fenomeno): Will-o’-the-Wisp e Jack-o’-lantern. Entrambi sono costretti a vagare senza meta per l'eternità: il fabbro Will fu incapace di redimersi dopo la sua morte e fu condannato da San Pietro a un vagabondaggio cieco e disperato sulla Terra; Jack l'alcolizzato fu invece allontanato sia dal Paradiso che dall'Inferno per il suo stolto tentativo d'ingannare il diavolo. I personaggi della leggenda si divertono, nell'immaginario collettivo, a depistare i viaggiatori nei boschi, così da condannarli alla loro stessa pena. 

I fuochi fatui, rappresentano quel mix fra tradizione, folklore e tentativo di comprensione scientifica del fenomeno, che è ancora in grado di suggestionare a distanza di secoli.

Il Museo delle Mummie a Guanajuato in Messico

Guanajuato è considerata una delle più belle città del Messico, dichiarata Patrimonio dell'UNESCO: sorge nella Sierra Madre a 2000 metri di altezza e raggiunse il suo periodo di massimo splendore nell'era coloniale, ben evidente nel coloratissimo centro storico.

Sorprende il tessuto urbano formato da scalinate, strade alberate che sbucano inaspettatamente dai fianchi delle montagne e angusti vicoli come il Callejon del Beso: bisogna infatti sapere che il tutto è frutto della riconversione di fiumiciattoli sotterranei in graziose vie pedonali.

Oltre alla Universidad di Guanajuato, alla casa natale di Diego Rivera e alla chiesa di San Cayetano, un'altra delle più importanti attrazioni della città che attira milioni di turisti da tutto il mondo è El Museo de las Momias.

 

L'inquietante Museo delle Mummie di Guanajuato 

 

Il Museo delle Mummie di Guanajuato ha sede sul Cerro Trozado nel Pantheon Municipal di Santa Paula: chi si aspetta uno spazio espositivo con mummie simili a quelle egizie, che hanno subito una precisa operazione di imbalsamazione e avvolte in bende che spesso ne celano il volto, rimarrà deluso.

Il museo di Guanajuato è molto di più: le mummie sono esposte dietro teche di vetro e appoggiate su cuscini di velluto; alcune si sono conservate quasi perfettamente in modo naturale e con espressioni a dir poco terrificanti; altre hanno ancora pelle, denti, capelli e brandelli di abiti; mentre le mummie più piccole dei bambini, si presentano vestite da angioletti, come voleva la tradizione.

Tutto comincia nel 1833 quando Guanajuato fu colpita da una devastante epidemia di colera che causò migliaia di morti tra la popolazione, tutti poi debitamente seppelliti.

Qualche decennio dopo, nel 1865, il governo cittadino impose il pagamento di una tassa per il mantenimento dei cadaveri nel cimitero: ma non tutti i famigliari erano nelle condizioni economiche tali da potersi permettere di far fronte a questo tributo. Per tale motivo le istituzioni disposero il disseppellimento delle salme appartenenti alle famiglie inadempienti: la sorpresa fu incredibile quando ci si trovò davanti a 111 corpi perfettamente e inspiegabilmente conservati.

Gli studiosi hanno certamente evidenziato che sulla imbalsamazione naturale hanno inciso le condizioni particolarmente alcaline del terreno, l'aria fredda e secca, oltre all'isolamento dei microrganismi. Ciò che però che è misterioso è che solo alcuni corpi si sono mummificati a differenza di altri: la credenza popolare vede questa prodigiosa conservazione come una punizione divina per i peccati commessi quando questi erano in vita.

 

Lo sgomento sui loro volti

 

La cosa che però più inquieta chi visita il Museo delle Mummie di Guanajuato sono i volti delle mummie: hanno infatti quasi tutte espressioni terrorizzate, cristallizzate dalla morte sopraggiunta e il motivo è ancora più spaventoso.

La peste infatti era un'epidemia che si diffondeva assai velocemente e si cercava di arginarla seppellendo i morti con così tanta fretta che a volte si interravano anche coloro che non erano ancora morti. Si possono ben immaginare lo strazio e il terrore di chi si ritrovava chiuso in una tomba sotto terra senza alcuna speranza di uscirne vivo. 

Ignacia Aguilar ad esempio è stata rinvenuta nell'atto di mordersi violentemente il braccio, con tanto di sangue in bocca: la donna, però, pare non sia morta di peste, ma per una malattia che le faceva fermare il cuore per qualche giorno. Si presume dunque che ci sia stato un momento in cui il suo cuore si sia fermato per un periodo più lungo da ingannare i propri familiari che l'hanno così creduta morta.

Il primo cadavere ad essere stato dissotterrato è stato quello del medico francese Leroy che fu deposto, assieme alle altre salme dissotterrate in seguito, nell'ossario del cimitero di Guanajuato. 

Il governo decise di spostarle poi nei sotterranei per permettere ai loro congiunti di riconoscerle e magari decidere di dare loro una degna sepoltura pagando la tassa. Da allora si sviluppò una sorta di turismo del macabro che portò il governo ad istituire il museo che oggi è uno dei simboli della città di Guanajuato.

4 quadri del passato che parlano di morte

Fin dall’antichità, la morte è stata un argomento ricorrente anche nell’arte e soprattutto nella pittura.

Di seguito i 4 quadri più impressionanti che parlano di morti cruente:

La morte di Marat – Edvard Munch

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Questo quadro è un’interpretazione disturbata del celebre delitto di Marat, appunto. 
Ma allo stesso tempo, quest’opera si riferisce alla fine definitiva del violento rapporto con la ex compagna Tulla Larsen: durante un litigio partì accidentalmente un colpo di pistola che ferì Munch alla mano.

Studi anatomici – Théodore Géricault 

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L’artista Théodore Géricault è meglio conosciuto per il dipinto “La zattera della Medusa” che rappresentava i superstiti di un naufragio realmente accaduto.
Il pittore rimase colpito da quella faccenda, che fece un grande scandalo ai tempi, tanto che raccolse testimonianze dai superstiti, studiò i morti in obitorio e accumulò parti di corpo umano per creare questo dipinto, che fu presentato nel 1819 al Salone di Parigi.

Giuditta che decapita Oloferne – Artemisia Gentileschi

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Era molto in voga, in quel tempo, rappresentare questo episodio nelle proprie opere, ma la versione di questa artista è molto più violenta, cruda e fisica rispetto a tutte le altre. SI legge chiaramente la voglia di Giuditta di uccidere Oloferne,senza paura e senza ripensamenti.
Una curiosità: la pittrice utilizzò proprio se stessa come modella per dipingere Giuditta.

Saturno che divora uno dei suoi figli – Francisco Goya

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Goya dipinge questo mito che narrava, appunto, che il Dio Saturno, mangiava i figli, per paura che essi si potessero ribellare in futuro.
Il pittore dipinse queste scenette culmine della sua malattia, sulle pareti di casa sua, tra il 1819 e il 1823.

I 4 siti archeologici più belli d’Italia

In Italia abbiamo veramente tutto: buon cibo, paesaggi indescrivibili, bellezze architettoniche di ogni genere e anche strepitosi siti archeologici.
Quest’ultimi non hanno di certo perso nel tempo il loro fascino: allora scopriamo insieme i 4 siti archeologici italiani da vedere almeno una volta bella vita!

 

POMPEI

Pompei è la città che venne seppellita nel 79 d.C. dal Vesuvio e il parco archeologico di Pompei  è uno dei più celebri del mondo, proprio perchè dopo l’eruzione del vulcano la popolazione fu sommersa dalla lava che ha immobilizzato le cose così com’erano.
Anni dopo anni, durante gli scavi, sono state trovati numerosi reperti e ogni volta viene scoperto qualcosa di assolutamente nuovo e affascinante.
.. Da visitare assolutamente!

 

FORO ROMANO

Il Foro Romano sorge tra il Campidoglio ed il Palatino ed un tempo era il fulcro della città: centro politico, economico e culturale.
Venne riportato alla luce durante i lavori di una ristrutturazione urbanistica e la sera, tutto illuminato, regala grandi emozioni!

 

LA VALLE DEI TEMPLI

La Valle dei Templi fu fondata nel 581 a.C., anche se a quei tempi veniva chiamata Akragas.
Questo è il sito archeologico più grande al mondo e comprende 10 templi, alcuni santuari e la necropoli.

 

PAESTUM

Questo sito archeologico si trova in Campania e ai tempi della Magna Grecia veniva chiamata Poseidonia.
Questo sito archeologico gode di un buon stato di conservazione e comprende numerosi templi, una piscina, la necropoli e un anfiteatro.

 

 

Perché preferire la cremazione dei defunti

Il numero di cremazioni in Italia cresce costantemente da anni. Così secondo i dati della Sefit, l’associazione che riunisce le società multiutility pubbliche e municipalizzate, il trend dal 2013 al 2017 è in aumento, in particolare un italiano su 4 sceglie questa opzione post mortem e l’Emilia Romagna è tra le Regioni dove la cremazione è più diffusa.

Come la pensa la chiesa cattolica?

Da parte sua la chiesa cattolica ha aperto le porte alla cremazione solo nel 2016, quando la Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede ha messo a punto una nuova linea sulla sepoltura dei defunti e la conservazione delle ceneri in caso di cremazione che non è di per sé negazione della fede cristiana ma per la Chiesa resta “la preferenza della sepoltura dei corpi”.

“La prassi della cremazione – si legge nel documento del Vaticano – si è notevolmente diffusa, ma nel contempo si sono diffuse anche nuove idee in contrasto con la fede della Chiesa. La Congregazione per la Dottrina della Fede ha ritenuto opportuno la pubblicazione di una nuova Istruzione, allo scopo di ribadire le ragioni dottrinali e pastorali per la preferenza della sepoltura dei corpi e di emanare norme per quanto riguarda la conservazione delle ceneri nel caso della cremazione”.

Così se la Chiesa dice sì alla cremazione poiché “non tocca l’anima e non impedisce all’onnipotenza divina di risuscitare il corpo“, dall’altra non permette la dispersione delle ceneri dei defunti “nell’aria, in terra o in acqua o in altro modo” né la loro conversione “in ricordi commemorativi, in pezzi di gioielleria o in altri oggetti”.

Perché preferire la cremazione?

Solitamente chi preferisce questa pratica ha una profonda coscienza ecologica: che senso ha occupare spazio nei cimiteri e sottrarre spazio prezioso a chi è vivo per sotterrare i morti?

Ma non è finita qua, infatti c’è chi pone anche il problema delle infiltrazioni: la sepoltura in terra provoca l’inquinamento del sottosuolo e, in alcuni casi, delle falde acquifere. Con la cremazione, invece, non succede nulla di tutto questo.

Ma le motivazioni che inducono a ricorrere alla cremazione sono anche altre. Infatti con la normale sepoltura in terra dopo un certo numero di anni è necessaria l’esumazione, un momento estremamente drammatico per i familiari che con la cremazione ovviamente non avviene.

Quattro strani riti funebri dal mondo

Rituali bizzarri e macabri. La celebrazione del rito funebre è insita nella cultura di un popolo e spesso è influenzato dalla religione e dalle usanze di una determinata tradizione.

Ma vediamo di conoscere quali sono quattro strani riti funebri conosciuti al mondo.

Le bizzarre usanze nelle Filippine.

Molti gruppi etnici delle Filippine hanno pratiche funerarie davvero bizzarre.
Nel Benguet, una provincia sull’isola di Luzon, hanno la tradizione di bendare i morti e posizionarli accanto all’ingresso principale della casa; in Tinguian invece sono soliti vestire i morti con i loro abiti migliori, li fanno sedere e mettono loro una sigaretta in bocca. A Caviteño, nei pressi di Manila, seppelliscono i morti all’interno di un albero parzialmente scavato, mentre ad Apayo tumulano i loro morti sotto la cucina.

 

Amputazione delle dita.

La morte di una persona cara provoca sicuramente un dolore emotivo e per molti abitanti di Dani in Papua Nuova Guinea questo dolore viene accompagnato anche da una sofferenza fisica. Così usanza vuole che i membri di una famiglia si amputano volontariamente un dito quando una persona cara muore. Si tratta di una pratica oggi fuorilegge, ma i membri più anziani delle tribù mostrano ancora i segni delle antiche usanze.

La sepoltura in Mongolia e Tibet.

Molti buddisti in Mongolia credono nella trasmigrazione dell’anima dopo la morte, così per tornare ad essere una parte della terra il corpo viene fatto a pezzi e messo in cima a una montagna e offerto come cibo agli avvoltoi. Si tratta di una tradizione vecchia di migliaia di anni e, secondo un rapporto recente, circa l’80% dei tibetani ancora la pratica.

 

La rotazione delle ossa in Madagascar.

Il popolo del Madagascar ha un famoso rituale chiamato “famadihana”, detto anche la rotazione delle ossa. Una volta ogni cinque o ogni sette anni la famiglia del defunto realizza una processione nella cripta del defunto, dove il corpo, solitamente avvolto in un panno, viene riesumato e cosparso di profumi e vino. Mentre una banda suona, i familiari ballano con il corpo riesumato. Per molti questo rappresenta l’unico modo per comunicare con il morto.

 

Ma non è finita qua infatti basta pensare alla tribù Foré della Nuova Guinea e gli indigeni dell’Amazzonia che praticano l’endocannibalismo, ovvero il rituale con il quale il cadavere viene mangiato. Ma riti bizzarri e modernissimi si possono trovare anche a Los Angeles dove sempre più spesso i familiari preferiscono assistere al rito funebre direttamente dalla propria vettura, seduti dietro vetri sicuri, in perfetto stile Drive In

 

5 toccanti canzoni sulla morte

Melodie struggenti e commoventi che arrivano direttamente dalla musica internazionale e italiana. Si tratta di canzoni scritte per ricordare una persona che non c’è più o semplicemente per esorcizzare la paura per la morte.

Ecco una selezione di cinque toccanti canzoni.

Gli angeli – Vasco Rossi.

Si tratta di un brano cantato e scritto da Vasco Rossi per la musica di Tullio Ferro, tratto dall'album “Nessun pericolo… per te” e pubblicato nel 1996. La canzone è dedicata a Maurizio Lolli, grande amico e manager di Vasco, ucciso dal cancro.

Elton John – Candle in the Wind.

E’ un brano pop rock, con musica di Elton John e testo di Bernie Taupin. Fu scritta nel 1973 prendendo come spunto Marilyn Monroe per descrivere l'eventualità della morte prematura all'apice di una carriera artistica, ma il massimo successo di questa canzone si è avuto con il riadattamento per Lady Diana Spencer, nel 1997, che la trasformò nel singolo più venduto di tutti i tempi.

Blue Öyster Cult – (Don't fear) the reaper.

“(Don’t fear) the reaper”, “(Non temere) il mietitore”, è la terza canzone dell’album del 1976 “Agents of fortune” dei Blue Öyster Cult. E’ stata la canzone che ha reso la band famosa a livello planetario ed è considerata tutt’ora il loro massimo successo. La canzone è stata scritta dalla prima chitarra della band, Donald Roeser, in un momento di crisi e pensieri profondi sulla vita e sulla morte.

Queen – The Show Must Go On.

“The Show Must Go On” fu pubblicata come singolo nel Regno Unito il 14 ottobre 1991 in promozione del disco “Greatest Hits II”, appena sei settimane prima che Freddie Mercury morisse.
Inizialmente si era pensato che questo brano fosse un testamento di Freddie Mercury e che parlasse del suo stato d'animo prima di morire, si tratta invece di una poesia triste e struggente nata dalla penna di Brian May. Il risultato finale è comunque frutto della collaborazione di tutti i membri del gruppo, infatti anche Freddie Mercury e Roger Taylor contribuirono alla stesura del testo.

Eric Clapton – Tears in Heaven.

E’ una ballata di Eric Clapton, pubblicata nel 1992 e scritta con Will Jennings. La canzone è dedicata al figlio Conor, avuto dalla showgirl italiana Lory Del Santo e morto a soli 4 anni nel 1991 cadendo dal 53º piano di un palazzo a New York dove si trovava con la madre.
Il singolo è tra quelli di maggior successo dello stesso Clapton e gli valse, nel 1993, tre Grammy Awards: Canzone dell'anno, Registrazione dell'anno e Miglior interpretazione vocale maschile.
La canzone è anche stata dedicata alle vittime dello tsunami del 2004, cantata da diverse celebrità come Ozzy e Kelly Osbourne, Phil Collins, Elton John, Robbie Williams, Ringo Starr, Steven Tyler, Andrea Bocelli, Katie Melua, Slash alla chitarra e Duff McKagan al basso elettrico.