Il Cimitero Allegro di Sapanta in Romania

Si trova in Romania, esattamente a Sapanta. E’ il famoso cimitero, Cimitirul Vesel, conosciuto con il nome di Cimitero Allegro.

Perché l'ultima dimora deve essere grigia e triste? La morte è una fine o un nuovo inizio?

A Sapanta le croci multicolori sono dipinte con fantasia e sulle tombe sono riportati epitaffi satirici e vignette che ricordano il defunto con una sana dose di senso dell'umorismo.

Questa tradizione, iniziata nella metà del 1930 per mano di Stan Ioan Pătraş, un artigiano del legno, è dovuta alla credenza degli abitanti della città che la morte sia un inizio e non una fine.

Ogni croce è diversa: le immagine intagliate catturano uno degli atteggiamenti caratteristici del defunto e le poesie ironiche e satiriche, scritte con un linguaggio arcaico tipico della tradizione orale, sono un messaggio al mondo vivente.

Nella parte superiore di ogni croce si trova un bassorilievo con una scena che descrive la vita del defunto. Le scene sono semplici e ingenue nello stile, ma immortalano una virtù o un difetto dei defunti.

Il Cimitero Allegro si trova nella parte settentrionale del paese, a Maramures, uno dei 14 distretti romeni, ubicato nella regione storica della Transilvania.

Ma se la terra del conte Vlad farebbe pensare a colori tetri e cieli plumbei, il Cimitero Allegro sfoggia colori accesi, brillanti e decisi. Infatti l’artigiano Stan Ioan Pătraş da subito, scelse il blu intenso, lo stesso di molte delle vecchie case transilvane.

Ma non era abbastanza. Dopo il colore arrivarono le prime decorazioni: motivi geometrici o floreali, lune e soli realizzati in colori vivaci, quelli dei tappeti e dei tessuti locali, delle ceramiche e delle immagini dipinte sul vetro.

Poi arrivarono i volti. Ispirato forse dalle croci erette lungo le strade, dove solitamente compare il volto di Cristo, o forse dall’usanza di mettere foto sulle croci dei cimiteri urbani e rurali, Patraş fece una cosa che nessuno aveva mai fatto: quei volti iniziò a disegnarli come fossero motivi decorativi.

(foto: Di Paf – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3882202)

Qual è il significato della Morte nei tarocchi?

La Morte nei tarocchi prende anche il nome di Tredici, questo perché si tratta dell'Arcano Maggiore numero 13.

La carta ha un significato molto oscuro che generalmente indica la distruzione e la fine che può portare anche ad un cambiamento e a una rigenerazione.

La Morte dei tarocchi rappresenta la fine, una fine che non può essere evitata in alcun modo e per cui è necessario accettarne le conseguenze senza poter fare nient'altro per fermarla. Bisogna essere pronti ad affrontare ciò che il destino ha in serbo per noi.

La Morte se assume un significato positivo, vuol dire che porterà ad una conclusione che però darà inizio ad un cambiamento pieno di belle sorprese.

Una "distruzione" è necessaria per poter costruire qualcosa di nuovo e ancora più bello rispetto a prima.

Se invece questa carta assumerà un significato negativo vuol dire che il cambiamento porterà a sofferenza, disperazione e malinconia.

Forse non tutti sanno che la prima traccia dell'utilizzo dei tarocchi a fini divinatori sarebbe contenuta in un carteggio massonico anonimo ritrovato a Bologna in cui si fa riferimento a 35 carte con valore esoterico-cartomantico.

A ogni carta era associato un simbolo.

Siamo nel 1400 e da Bologna, al tempo importante crocevia d'Europa, il gioco delle carte si sarebbe poi diffuso in tutta Europa.

Nel 1500 una novità investì il gioco dei tarocchi. A Bologna, in quel periodo, si giocava dappertutto, perfino sulle scale del palazzo del Comune. Fu allora imposta una tassa per porre un freno a quel che era diventato un gioco d'azzardo dilagante.

E chi crede che i tarocchi non si sposino con la religione cattolica, si sbaglia di grosso. Molte immagini rappresentate sulle carte sono espliciti rimandi alla Chiesa, come il Papa e la Papessa (simbolo della fede), l'eremita che insegna a non tradire Dio e il Bagatto che indica colui che crede in Dio, ma non ritiene di dover seguire tutti i comandamenti, e per questo viene condannato dalla Chiesa.

I colori de la Santa Meurte in Messico

La Santa Muerte, alias Niña Blanca, Patrona, Señora o Flaquita, si presenta nelle classiche e spaventose figure della morte personificata. Fondamentalmente è rappresentata da uno scheletro vestito di una tunica e a questa composizione di base si possono aggiungere gli oggetti più disparati, come una bilancia, una falce, alata, accompagnata da un gufo, con una clessidra, con arco e frecce…

Incontrare le Santa Muerte per le strade messicane è molto frequente: come statua o statuetta in un altare, come dipinto murale, come gioiello o come tatuaggio. Nelle periferie le rappresentazioni si moltiplicano e il suo ruolo di protettrice di uomini dediti al pericolo, alla violenza, alla svendita di principi morali per la sopravvivenza del nucleo familiare, ha portato a considerarla il patrono degli affiliati alla criminalità messicana.

Ma questa è solo una generalizzazione, di quelle legate ai culti poveri, clandestini, venerati dalle classi più deboli, in cui violenza e disagio sono la quotidianità. Al contrario la Santa Muerte non sarebbe altro che una presenza benevola, un angelo di luce che protegge i più deboli; non una figura a cui si chiede la morte di qualcuno ma piuttosto protezione, o un favore, un’intercessione che si avrebbe pudore a chiedere a un santo cattolico ufficiale, come il ritorno di una persona amata. 

L’idea di base è che la morte equivale alla giustizia assoluta perché non fa distinzioni sociali. Così la morte personificata e santificata ha il potere di evitare o rimandare la nostra morte specifica, o, se proprio è suonata la nostra ora, ti concede di andartene in modo indolore, rapido, senza terrore.

La venerazione de la Santa Muerte varia in base ai poteri esoterici che la possono contraddistinguere. A identificarli sono i colori dell'abito: la Santa Muerte dal mantello Verde (la più importante) protegge i carcerati e i tossicodipendenti; quella dal mantello Rosso protegge dai dolori del cuore e dell’amore, rinvigorisce l’anima e il corpo durante gli atti sessuali; la Muerte Gialla protegge gli affaristi, i commercianti e soprattutto il traffico di denaro. La Muerte Bianca soccorre lungo la strada di un’eventuale purificazione spirituale e quella Nera, quella sanguinaria, viene invocata ogni volta che si è artefici o possibili vittime di un atto di sangue. C’è infine anche una versione policroma, con sette colori, quindi “tuttofare”, con sette poteri.

La sua origine e diffusione in Messico, ha radici ben lontane. E’ innanzitutto una commistione rituale affascinante tra cristianesimo ascetico (con marcati segni della Spagna inquisizionale del ‘600), i culti e le tradizioni popolari messicane convertiti poi in usanze religiose e la cultura latino americana della “yoruba”, reminiscenza di un passato intriso di magia nera e stregoneria. 

Quel che è certo è che la devozione per la Niña non coincide con la celebrazione del tipico Día de los Muertos messicano, e la sua immagine non deve essere confusa con quella della Calavera Catrina, lo scheletro in abiti femminili con cui l’incisore José Guadalupe Posada (1852-1913) caricaturizzava la borghesia francesizzante dei suoi tempi.

Se sia un rito, oppure una pratica esoterica, o se venga vissuta come una mistica credenza popolare o piuttosto con un avvolgente sentimento nero o soltanto con un fantasioso gusto del macabro, ancora non si riesce a capirlo. Ma senz’altro si tratta di un fenomeno di costume senza precendenti negli ultimi 30 anni di storia di tutto il Sud America.

Come scrivere frasi di condoglianza

Definizione di condoglianza

con-do-gliàn-za: “Partecipazione al dolore di una persona per un lutto che l'ha colpita”

Derivazione da condolersi, dal latino condolere (soffrire insieme – composto da con e dolere).

“Le condoglianze sono solo quasi esclusivamente la partecipazione al dolore di qualcuno colpito da un lutto, e l'espressione con cui si comunica questa partecipazione.”, continua la definizione accurata sul sito http://unaparolaalgiorno.it/significato/C/condoglianza, specificando che si tratta di frasi di circostanza che esprimono vicinanza e partecipazione come forma di rispetto, ricorrendo normalmente a formule standard.

La verità è che, qualsiasi grado di confidenza si abbia col defunto o la sua famiglia, la formulazione del biglietto o la telefonata di condoglianze sono da sempre le comunicazioni più difficili da affrontare.

Ed è comprensibile. Il dramma della morte è un avvenimento intimo, misterioso, difficile da digerire, e impossibile da risolvere con una scritto di due righe. In questi momenti è necessario però concentrarsi sull’importanza del conforto, un sentimento che può nascere e dare forza anche da semplici parole espresse con affetto e sincerità.

Se non si conosce bene la persona defunta

Se non si conosce bene la persona defunta si può inviare alla famiglia un telegramma o un biglietto, ricordando per quest'ultimo che la tradizione vuole sia scritto sempre a mano.

Le frasi di circostanza con messaggi formali più indicate in questo caso possono essere le seguenti, o avere i seguenti incipit:

“Sentite condoglianze. Famiglia …….. .”

“Partecipo commosso al vostro lutto. Nome e Cognome.”

“Vicini nel dolore porgiamo sentite condoglianze. Famiglia …….. .”

“Vi siamo molto vicini in questo triste momento. Famiglia …….. .”

“Le più sentite condoglianze per la morte del Vostro caro,….. Famiglia …….. .”

“Partecipiamo al Vostro dolore per l'improvvisa scomparsa dell’amato …..,….. Famiglia …….. .”

“Profondamente addolorato partecipo al lutto per l'immatura scomparsa di …..,….. Nome e Cognome.”

“La grande tragedia che ha colpito la Vostra famiglia reca moltissimo dolore a tutti noi. Vi porgiamo le nostre più sincere condoglianze. Famiglia …….. .”

“Sinceramente addolorati per questa triste e spiacevole circostanza, Vi porgiamo le nostre più sentite condoglianze e Vi offriamo tutto il nostro sostegno. Famiglia …….. .”

“In questi momenti le parole non servono ad alleviare il dolore. Vogliate accettare le nostre più sentite condoglianze per la vostra grande perdita. Famiglia …….. .”

Se il legame è più stretto

Se il legame è più stretto, l’empatia del messaggio sarà senz’altro più spontanea, trasmettendo calore, amicizia e sostegno nel dolore. E se la confidenza è alta, allora si potrà ricorrere alla telefonata o alla visita, ma soltanto se siete certi che siano gradite.

In questo caso è consigliato evitare frasi di circostanza come le seguenti: 

"Forse è stato meglio così, perché soffriva tanto…" 

"Che cosa vuoi farci, era talmente vecchia…" 

"Il signore ha voluto premiarlo chiamandolo a sé…" 

“E’ in un posto migliore…”

“So come ti senti…”

“Sei così forte…”

Piuttosto conviene usare frasi come:

“Non riesco a immaginare che cosa stai attraversando…”

“Mi dispiace molto per la tua perdita…”

“Non c’è bisogno di essere coraggiosi in questo momento…”

Possono sembrare meno empatiche, ma rispecchiano la realtà: suggeriscono alla persona di lasciarsi andare, dandole il permesso di sentirsi triste, spaventata e bisognosa di sostegno. Inoltre, la aiutano a percepire la perdita a livello inconscio, permettendole con delicatezza di raggiungere la consapevolezza dell’accaduto.

La certezza, in queste situazioni, è che un affettuoso e discreto silenzio risulta spesso più prezioso di mille parole.

La settimana Santa di Siviglia

A Siviglia la Settimana Santa è uno degli eventi più importanti, la cui origine risale probabilmente al XIV secolo. Da allora le confraternite della città, oggi 57, fanno una processione di penitenza per le strade, andando dalla loro chiesa fino alla Cattedrale e viceversa, cercando il percorso più breve possibile come decretato dall'ordinanza del Cardinale Nino de Guevara nel XVII secolo.

La maggior parte delle confraternite porta in scena due misteri, uno con il Cristo e le scene della Passione, Morte e Resurrezione, l'altro con la Vergine Maria.

Quest’ultima è la vera protagonista: la scultura della Vergine è diversa per ogni confraternita ma inscena sempre lo stesso momento della storia, ovvero la Madre che piange la morte del figlio. 

Il suo manto è un capolavoro di artigianato: l'enorme stola di tessuti nobili parte dal capo della Vergine e si estende fino ad un supporto rigido. Il drappo è sostenuto da pali, a volte sembra quasi un tetto per proteggere la statua ed è un trionfo di ricami, oro, gioielli, sete e broccati e quant'altro di splendido ci possa essere.

A trasportare a spalla i “pasos” – le pesanti immagini religiose su baldacchini – sono i ”costaleros” (in  italiano “portatori”). I ”costaleros” sostengono il peso sulle spalle nascosti nella parte inferiore del pasos, nell’incastellatura denominata “Trabajadera”. Per attutire il carico del peso proteggono collo, spalla e braccio con un panno chiamato "costal" costituito da tela di juta ripiegata.

Altri sivigliani recitano il ruolo di Nazareno: sono i confratelli che accompagnano i pasos portando in corteo ceri o insegne. Indossano una tunica e hanno il volto coperto da una maschera e un cappuccio che ha solo le fessure per gli occhi perchè l'identità della persona deve essere nota solo a Dio.

Sicuramente sono il simbolo più vistoso delle processioni ma accanto a loro sfilano tante altre figure: bande musicali che suonano gli inni delle confraternite, portatori di croci, turiboli con l'incenso e ceri, penitenti vestiti come i nazareni – ma senza il cappuccio – che stanno dietro alla statua del Cristo e camminano scalzi (un modo per compiere un voto)…

Ovunque i balconi delle case si vestono di drappi colorati, le strade si rimpiccioliscono per far posto alle transenne e alle panche, i marciapiedi sono decorati da milioni di composizioni floreali: è così che un rito religioso diventa una festa collettiva imperdibile, tra solennità e fervore.

Cosa sono i coccodrilli in gergo giornalistico?

«O devil, devil! If that the earth could teem with woman's tears, Each drop she falls would prove a crocodile.»/« Demonio, sì, demonio! Se la terra potesse partorire fecondata da lacrime di femmina, ogni goccia sarebbe un coccodrillo!» Otello, atto quarto, scena prima – William Shakespeare

Il mito da cui deriva il modo di dire "piangere lacrime di coccodrillo”, di uso comune non solo in italiano ma anche in altre lingue del mondo, pare sia riferito al comportamento animale dei coccodrilli che verserebbero lacrime di pentimento dopo aver ucciso le loro prede o dopo averle divorate. 

In particolare a piangere sarebbe la femmina di coccodrillo appena dopo aver divorato i propri piccoli, anche se in realtà l'unico comportamento in natura assimilabile a questa interpretazione è tutt'altro che aggressivo poichè corrisponde all'azione di trasportarli in acqua mettendoli in bocca,al sicuro dai predatori, operazione durante la quale la lacrimazione aumenta d'intensità.

Origine a parte, il detto "piangere lacrime di coccodrillo” indica chi finge di provare dispiacere quando in realtà è disinteressato, o addirittura compiaciuto, rispetto al fatto causante dolore. E probabilmente è proprio legato a questo significato il termine giornalistico “coccodrillo” con cui si indica una sorta di necrologio.

Si tratta di servizi televisivi, radiofonici o giornalistici che riassumono la vita di personaggi noti, scritti – spesso in anticipo – per essere pubblicati non appena giunge la notizia della loro morte.

L’articolo sarebbe impossibile da realizzare in tempo reale, visti i ritmi serratissimi del mondo dell’informazione e la necessità di fare ricerche in archivio per arricchirlo di dettagli e citazioni. 

La paura di farsi sfuggire la notizia ha portato la creazione di veri e propri archivi di “coccodrilli” (che necessitano un aggiornamento periodico) e ha causato anche qualche pubblicazione errata: sono numerosi i casi in cui dei “coccodrilli” sono stati resi pubblici sebbene il personaggio fosse ancora in vita, esiste addirittura una pagina dedicata a questi errori su Wikipedia https://goo.gl/4il0cJ!

La morte secondo il disegno di legge Cirinnà

ll 25 febbraio è stato approvato al Senato il maxiemendamento al disegno di legge Cirinnà che tra le tante questioni regolamenta per la prima volta a livello nazionale le coppie di fatto, sia eterosessuali che omosessuali.

Cosa prevede questa parte della norma?

Possono diventare “conviventi di fatto” due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile. 

E nel caso di morte di un componente della coppia?

Le parti hanno gli stessi diritti che spettano al coniuge nell’assistenza del partner in carcere, in ospedale e in caso di morte. In quest’ultimo caso ciascun convivente può designare l’altro come suo rappresentante per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie. Questa designazione può avvenire attraverso uno scritto autografo oppure in forma verbale davanti a un testimone.

Sempre nel caso di morte di uno dei due conviventi che ha anche la proprietà della casa comune, il partner superstite ha il diritto di stare nell’abitazione per altri due anni, o per il periodo della convivenza se superiore a due anni, comunque non oltre i cinque anni. 

Se nella casa di convivenza comune vivono i figli della coppia o i figli di uno dei due, il convivente che sopravvive alla morte dell’altro può rimanere nella casa comune per almeno tre anni. E inoltre in caso di morte il partner superstite ha il diritto di succedere all’altro coniuge nel contratto d’affitto. Questo diritto si estingue in caso di una nuova convivenza con un’altra persona, o in caso di successivo matrimonio o unione civile.

Per maggiori informazioni contattateci al 0547 611059

 

fonti: www.altroconsumo.it; www.internazionale.it; www.articolo29.it; www.dire.it

Il funerale del Clown Joseph Grimaldi

Ogni anno, dal 1837, la prima domenica di Febbraio si celebra un funerale particolare alla Holy Trinity Church di Haggerston, a nord di Londra: la commemorazione di Joseph Grimaldi, il padre dell’archetipo del clown moderno.

Al funerale, dedicato anche tutti i clown deceduti, partecipano dozzine di clown professionisti che per l’occasione vestono i loro abiti di scena, il classico make-up e indossano il naso rosso. La celebrazione ha inizio con un ingresso a dir poco anarchico degli “addetti ai lavori” nella cosiddetta “Chiesa dei Clown”: il caos che si crea tra costumi, burattini e palloncini è tanto da riempire in fretta ben 2 livelli di posti a sedere.

Quest’anno l’introduzione di questa cerimonia pubblica, che attira migliaia di persone, recitava “we come together today through the desire of many clowns to gather once a year for encouragement and worship. To be able to laugh about the joys and the sorrows of life is something we all appreciate, and our prayer is that clowns everywhere may help us to do this in a Christian spirit.”/ “siamo riuniti oggi per realizzare il desiderio di molti clown di raccogliersi in preghiera. Essere capaci di ridere delle gioie e dei dolori della vita è una cosa che tutti apprezziamo e le nostre preghiere vanno proprio a quei clown, ovunque essi siano, che ci potranno aiutare a farlo con animo cristiano.”

Ma chi era Joseph Grimaldi per ispirare una tale celebrazione?

Nato il 18 dicembre 1778 a Londra, è noto per essere stato un attore e danzatore britannico, ma in particolare per aver dato vita all’immagine europea del clown moderno.

La passione per la danza e l’amore per lo spettacolo gli furono trasmesse dal padre Giuseppe, un famoso danzatore, arlecchino e clown italiano.

L’enorme merito di Joseph fu quello di elaborare gli insegnamenti del padre miscelando la comicità latina spontanea dell’arlecchino con i tratti della buffoneria anglosassone: il risultato fu un clown originale e irresistibile.

Il suo costume tipico era costituito da braghe corte e aderenti e una parrucca a creste di gallo, blu: un personaggio che divenne celebre e raccolse consensi e riconoscimenti unanimi, cominciando da quelli di Lord Byron e finendo con la risistemazione delle sue memorie da parte di Charles Dickens.

fonte: Atlas Obscura (www.atlasobscura.com/articles/its-okay-to-giggle-at-the-clown-funeral)

images: By George Cruikshank (27 September 1792 – 1 February 1878) (The Public Domain Review) [Public domain], via Wikimedia Commons

La vita e la morte nella mitologia bretone

La Bretagna è una regione a nord-ovest della Francia bagnata dall’Oceano Atlantico; un antico stato indipendente che conserva le sue lingue regionali, bretone e gallo, pur adottando il francese come lingua ufficiale.

La ricchezza della cultura bretone deriva da una stratificazione antichissima di leggende e riti legati alle popolazioni che l’hanno vissuta e attraversata.

Per raccontare meglio le credenze di una terra così nobile riportiamo un paragrafo del libro “Bretagna”, di Valerio De Lorenzo e altri, Bagno a Ripoli, Firenze, Edizioni Edarc, 1994:

«Si dice che i bretoni abbiano i piedi per terra e la testa tra le nuvole e questo perché sono notoriamente un popolo di poeti capaci di sognare e di vivere in un mondo che sembra sospeso tra la realtà e la fantasia. 

Per fortuna queste prerogative non sono andate sciupate ma si sono trasformate in materia letteraria di gran pregio, in cui splende per fama e qualità il ciclo dei romanzi della "Table Ronde" e di tutti i racconti fantastici che ne sono seguiti. […]

La ricerca del Santo Graal è la radice da cui partono queste storie: il Graal sarebbe la coppa in cui bevve Cristo durante l'ultima cena e che sarebbe stata portata dalla Palestina nella foresta di Brocéliande con alcune gocce del divino sangue, da Giuseppe d'Arimatea, un discepolo di Cristo. Qui se ne perdono le tracce e nel Vi secolo Roi Arthur e i suoi guerrieri dal cuore puro ne intraprendono la ricerca; in quest'opera si distingue Perceval. A queste si intrecciano le storie di "Merlin l'enchanteur"e della fata Vivane che per trattenerlo a sé per l'eternità lo chiude in un cerchio magico, e quella del triste amore di Tristan e Iseult.

Un'altra storia importante è quella della città d'Ys, nascosta dalle acque del mare e di cui trattiene le chiavi il buon re Gradlon padre di Ahès o Dahut, l'ingenua principessa vittima del diavolo. […]

Lo spirito bretone è per sua natura, ancora oggi, rivolto al fantastico, al soprannaturale, al sogno, ma basta vedere questo paese per comprendere il perché di tutto ciò: certi paesaggi, certi scorci rimandano inevitabilmente a certe atmosfere che non possono non lasciare il segno.

Nella mitologia bretone si sono stratificate nei secoli le credenze delle varie epoche a partire da quelle preistoriche, poi galliche e celtiche, che daranno l'apporto più grande, a cui si sono aggiunte quelle cristiane e un tipico fervore cattolico che cercando di riportare il tutto a una razionalità di per sé irrazionale riesce a creare un raro miscuglio imprevedibile e meraviglioso tra il mondo magico e le credenze religiose comunemente accettate.

Basti pensare a come, in tutte queste leggende e storie che sono il grandissimo patrimonio della Bretagna, il mondo dei vivi interferisce con quello dei morti, con l'Altro Mondo oppure all'agire di figure sante.

Oppure ancora si pensi a come si è preteso di cristianizzare ciò che era pagano e misterioso. Le croci sui "menhir" ne sono un esempio, o la costruzione di cappelle sugli antichi tumuli sepolcrali, o al contrario l'inserimenti del mondo magico su strutture cristiane, basti pensare alle sirene e agli altri esseri fantastici che si incontrano nelle strutture delle chiese, dei "calvaires", degli "ossuaires", la presenza ossessiva delle fiamme dell'inferno e soprattutto della morte, l'Ankou, che viene personificata sotto forma di scheletro a volte orrido, a volte beffardo, armato di falce o di freccia, inciso o scolpito sui frontoni delle chiese, degli "ossuaires" oppure sulle acquasantiere. 

L'Ankou è anche il protagonista più frequente delle storie e leggende bretoni. Si aggiunga anche tutto il mondo magico delle fate,delle streghe e dei "korrigans"i folletti dei boschi a volte buoni altre malefici. Senza dimenticare i "lavandières de la nuit"che non sarebbero altro che e anime dei dannati che sono condannati a lavare il sudario dei morti. […]»

Tutte queste leggende e favole dell’immaginario sono in gran parte raccolte nel volume "La Légende de la Mort” di Anatole Le Braz.

Pantani, il Pirata con la musica nei pedali

"Corri più veloce del vento

il vento non ti prenderà mai

corri ancora adesso lo sento

sta soffiando sopra gli anni tuoi.

Dammi la mano fammi sognare

dimmi se ancora avrai

al traguardo ad aspettarti

qualcuno oppure no."

Così scrivevano I Nomadi nella canzone “l’ultima salita”, una delle tante canzoni dedicate a Marco Pantani nei primi anni 2000, prima e dopo la sua scomparsa.

La sua passione ispirava; la sua pedalata da scalatore dava speranza. Ha trascinato i tifosi del ciclismo per anni, attraverso infortuni, sfortune ed esclusioni, ma anche tante vittorie, lacrime di gioia ed entusiasmo.

In ordine cronologico ecco le opere dedicate a “il Pirata” di Cesenatico: 

Litfiba, “Prendi in mano i tuoi anni”, dall’album Infinito, 1999;

Riccardo Maffoni, “Uomo in fuga”, dall’album Storie di chi vince a metà, 2004; 

Alexia, “Senza un vincitore”, dall’album Gli occhi grandi della Luna, 2004; 

Francesco Baccini, “In fuga”, dall’album Stasera teatro, 2005; 

Claudio Lolli, “Le rose di Pantani”, dall’album La scoperta dell’America, 2006; 

Nomadi, “L’ultima salita”, dall’album Con me o contro di me, 2006; 

Les Wampas, “Rimini, dall’album Rock’n’Roll Part 9”, 2006;

Stadio, “E mi alzo sui pedali”, dall’album Parole nel vento, 2007;

Giorgio Canali & Rossofuoco, “Mp nella Bg”, dall’album Nostra Signora della dinamite, 2009.

Vogliamo ricordarlo così, con le sue grandiosi vittorie, che hanno fatto nascere passione e musica.

 

(Immagini tratte da Wikimedia Commons)